Sonno lento
E' tutta uno sbadiglio questa stanca prima primavera torinese. Un sole senza polpa apre la bocca sulla città e si stropiccia tra giacche e cappotti ancora col bavero alto. Raggi di noia per colazione e piccole ombre si stampano oblique su palazzi e caffè. E pensare che. E pensare che. Il mezzogiorno di fuoco s'è consumato con l'ultima spallata dell'inverno. Brad Pitt calcava i marciapiedi di corso Moncalieri. Il mondo puntava il binocolo sulla Mole. Ora è il momento del brusco risveglio. Forse. In una città normale. Qui non ci sono occhietti che spuntano vispi dai piumoni. Tutti sotto le coperte. A rubare qualche minuto di sogno. Così si presenta il centro torinese in qualunque giorno feriale, un paesaggio degno del miglior Tanguy. Il vuoto regna sovrano, il mondo appare liquefatto ai piedi della Mole. La calma piatta invade anche gli automobilisti che hanno spento il clacson in attesa di tempi migliori. Avanti, prego, quel parcheggio l'ha visto prima lei. La zona blu è un deserto eccitante. La tendopoli di CioccolaTò ha il sorriso maligno di una cambiale.
E' davvero istruttivo vivere a Torino. In ogni città, in qualche momento storico, è piombata la nebbia della decadenza. Da noi, no. Decandenti lo eravamo anni fa. Oggi ci rimpiccioliamo. Lillipuztiani giorno per giorno puntiamo a diventare microbi. Piccoli inutili e selvaggi. Dice un vecchia ricerca condotta da un sociologo francese di cui non mi importa ricordare il nome che il corso naturale demografico di Torino sarebbe di 300/400 mila persone. Insomma la metà degli spiriti che passeggiano per via Roma. Il fiume in piena degli anni sessanta? Nient'altro che il frutto artificiale e avvelenato di mamma Fiat. Il fabbricone di Mirafiori ce la sta mettendo tutta per cacciarne un bel po'. Fantasmi del passato, mani callose ignoranti. Ma non è abbastanza. Urgono incentivi, buoni uscita. Non c'è più spazio per tutti.
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